I veleni e i contravveleni della poesia italiana


Più che il paese della poesia, l’Italia è stata (e soprattutto è oggi) il paese dei poeti. La distinzione non è bizantina; né vuole costruire un vago giochetto di parole. Ogni poeta scalpita e richiede, a gran voce, il diritto di esserci, di farsi leggere, di essere ascoltato (se non addirittura compreso!). Eppure, quanto è volgare e ingiusto il concetto stesso di diritto! Ce lo ha insegnato Simone Weil: «La nozione di diritto è legata a quella di spartizione, di scambio, di quantità. Ha un che di commerciale; di per sé fa pensare al processo, all’arringa. Il diritto si regge esclusivamente su di un tono di rivendicazione…». Ma la poesia e l’intelligenza critica non possono entrare nelle regole di equità che dovrebbero essere garantite da una Democrazia, perché non possono essere raggiunte “per diritto” da chiunque voglia tentare la strada della scrittura d’arte. Ancora Weil: «In un’epoca come la nostra, in cui l’intelligenza è obnubilata, non si ha nessuna difficoltà a reclamare per tutti un pari accesso ai privilegi, a cose che per la loro essenza costituiscono dei privilegi. Si tratta di un tipo di rivendicazione che, al contempo, è assurda e meschina; assurda, perché il privilegio è inuguale per definizione; meschina, perché è qualcosa che non merita di essere desiderato».
Ora, i poeti si auto-arrogano il privilegio di definirsi, appunto, poeti. Non solo: qualche volta, un po’ accecati dalla propria vanità, e in qualche caso un poco troppo immersi in una visione ideologica, faziosa, combattiva della scrittura poetica, si innalzano a piccoli iddii, giudicanti e sentenziosi: piccini legislatori-censori (estetici ed etici) che si mostrano, all’improvviso, inesorabilmente impolitici e nevrotici, privi affatto di un dignitoso self-control e di auto-disciplina. Così, i poeti decidono di immortalare il loro giudizio, il loro risentimento, il loro disgusto e la loro disapprovazione nel breve spazio di un Epigramma. 
Anche in questo caso, un simile componimento non è per tutti, non è da tutti: ci vogliono coraggio, tempra, finezza. Sono spesso, questi epigrammi, echi di dispettucci, di questioncelle, di beghe a lungo trascinate. Ma pure, essi tendono, finalmente, agendo anche al di là della stessa volontà dell’autore, a oggettivarsi magicamente, a farsi giudizio puro e assoluto: giacché certe ferocissime bordate (vendette personali? Drammatiche e grottesche proiezioni psicologiche? Epicedi che cantano la morte di una lunga, o forse mai nata amicizia?) possiedono davvero, in tanti casi, indiscussi germi di estrema verità e di assoluta autenticità. E poi perché – nonostante le personali motivazioni che hanno dato vita a questi salaci, fiammanti, perfidi versi e versicoli trafitti dalla passione e dall’indignazione – essi potrebbero, per assurdo, costituire un’ideale, sincera controstoria della poesia italiana degli ultimi decenni: una controstoria, certo, affatto soggettiva ma in fondo giusta, perché provvista di botte e di risposte, di sberleffi e di controsberleffi. Poi, la vivacità, l’immediatezza, l’acuta secchezza e la franca spigliatezza di queste composizioni che pungono e fastidiano i lettori (e, si capisce, i diretti interessati) come ansiose e impertinenti lame sembrano assicurare, in fondo, una meritata clemenza, una generale e aprioristica assoluzione. Versi così irresponsabilmente cattivi, ma nondimeno comici e perfino commoventi nella loro dolente, disperata ironia, non possono che essere da subito, senza incertezza alcuna, perdonati.
Questa piccola antologia propone alcuni gustosi (e in certi casi aspri, sofferti) epigrammi di vari poeti italiani. Ciascun componimento emette una sentenza sempre esatta, precisa e inappellabile: Pasolini cesella e concentra in due distici, sorretti da una misura fine e malinconiosa, la sua condanna dei Novissimi; Risi e Amendolara, al contrario, evitano l’attacco ad hominem ma paradossalmente appaiono, forse, più ficcanti perché – non puntando di preciso nessuno - colpiscono, in fin dei conti, proprio tutti (e i poeti e i critici e gli stessi lettori conniventi). Zeichen è meno coscienziosamente letterario: usa un linguaggio greve, quotidiano, orizzontale (provate a togliere gli a capo: non troverete il “respiro” della poesia, ma una specie di prosa rozza, lineare, elementare), e intanto sa stupire per la carica selvaggia del suo fanciullesco, dionisiaco astio (fondato, anche, su di una notevole dose di gratuita volgarità). Ho aggiunto, nel miniflorilegio di veleni e di contravveleni, anche due versi di Flaiano: le cui parole sono, comme d’habitude, genialissime e interlocutorie. Infine, si parva licet componere magnis, propongo alcuni miei travestimenti da Marziale: perché sarebbe stato, insomma, del tutto incoerente e poco coraggioso non voler partecipare al gioco. Certo, i destinatari sono meschini e riflettono, ahinoi, lo specchio un po’ tetro del nostro attuale panorama poetico: si tratta, cioè, di merdicine che credono nella presunzione del “diritto di essere poeti” ; il lettore li riconoscerà di sicuro: li cito fuggevolmente, benché anche il non nominarli significhi, in fondo, tributare loro - pietosamente - un certo piccolo, immeritato onore.


*
Pier Paolo Pasolini

Al Novissimo Sanguineti

Ammirati dalla tua imprudente follia iterativa
non osiamo dirti che solo la prima parola era viva.


Ai Novissimi

Déréglement de tous les sens (Rimbaud), ed è vero:
ma deragliamento d’asino non sale al cielo.


A Mario Luzi

Questi servi (neanche pagati) che ti circondano,
chi sono? A che vera necessità rispondono?
Tu taci, dietro a loro, con la faccia di chi fa poesie:
ma essi non sono i tuoi apostoli, sono le tue spie.


*
Franco Fortini

A Pasolini

Ormai se ti dico buongiorno ho paura dell'eco,
tu, disperato teatro, sontuosa rovina.
Eppure t'aveva lasciata, il mio verso, una spina.
Ma va' senza ritorno, perfetto e cieco.


Allo stesso

Schema di perfetta catastrofe, arcangelo orgoglioso,
odia, ama, va’, stràziati, enfio di siero represso.
Troppo ti piace il martirio, il miracoloso
sketch del Calvario dove coroni te stesso.

A Bassani

Tra principi e princìpi incerti e vani
vano passa Bassani.


*
Giorgio Bassani

A Franco Fortini

Incontrandoti
anni fa in bicicletta sulle pendici
tutte al sole di Monte Marcello
dove – spiegavi malinconico – vi siete fatti
la villetta del week’ end e delle grandi
vacanze
ho invidiato tutto di te dalle polpe
di bronzo ai fenomenali
bigi cernecchi quasi neoclassici ma
specialmente
il volto carnoso diventato
a forza di frequentare letterature nordiche
un po’ da Nobel
svizzero.


*
Ennio Flaiano


Quest’anno è andata male al poeta Bertolucci,
gli hanno tolto il premio Nobel per darlo a Carducci.



*
Nelo Risi

Le Muse sono stanche

Abbiamo la poesia che meritiamo
tutta di serie tutta di comodo
così servile! a portata di guanto
perché teme la stretta di mano,
sporca quel tanto che muova il censore
una poesia per signore sole
o vagamente maschile, che sopravvive
in un’era di rampe e di scosse.


*
Marco Amendolara

Politica

Quante lettere, telefonate,
libri e riviste
quando potevi essere utile:
gente pratica, i poeti.


*
Valentino Zeichen

Per Alfonso Berardinelli

Alfonso di Borbone? Magari
Solo Alfonso Berardinelli.
Da presuntuoso qual è
Ha esordito precocemente come poeta,
nella collana dello “Specchio”,
rimanendone ustionato.
G. Manacorda, l’armiere,
gli tiene lustra la vetusta
attrezzeria marxista,
e sapendolo senza tetto
gli ha dato asilo estetico
nell’antologia: Il pensiero emotivo.
L’Adorno de’ Monteverde,
epigono degli epigoni
della Scuola di Francoforte,
dirige l’inutile rivista: “Diario”,
evitando con cura di scoprire
qualche poeta ignoto,
di brevettare un romanziere;
confortato dalla sterilità
della cultura capitalistica.
E in odio all’America
non si rade neanche
con Gillette Sensor;
lasciamo che si tagli la gola
con una lametta cinese.


A un amico poeta

Un tempo Gregorio Scalise
gonfiava le valigie
con opere della Sinistra,
e ora che la Sinistra
è obsoleta, ha dovuto
far posto alle pagine bianche:
lenzuola, federe, asciugamani.
Dato che fornisco ai miei ospiti
un solo tipo di biancheria:
la carta igienica.


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Bonus

Marco Valerio Marziale 
(travestimenti di Mario Fresa)

III, 84
[a Sebastiano]

Che racconta, di bello, la tua cara troiaccia?
Non parlo di tua moglie: ma della tua linguaccia.


VII, 3
[a Rossella]

Perché, mi chiedi, non ti regalo le mie raccolte di poesia?
Perché, in cambio, io già temerei le tue. Risparmiami la cortesia.


XI, 66
[A Massimo]

Spia, traffichino, imbroglione; sagace addestratore
di critici d’accatto; maligno calunniatore;
presenzialista, succhiacazzi, sordido coboldo:
però, malgrado il gran daffare, sei sempre senza un soldo.


VIII, 20
[A Francesco]

Scrivi molti versacci; però, alla fine, non pubblichi mai niente.
Che caso strano: tu sei, allo stesso tempo, cretino e intelligente.


VIII, 69.

Solo i poeti superclassici e i defunti sai lodare e recensire.
Quanto a me, non ho interesse alcuno – soltanto per piacerti – di morire.